torno proprio adesso da una due giorni ad Alrberg in quel di Lech. Ieri sera pioveva, stamattina ci siamo alzati rintronati dalla bisboccia e fiocchettava da paura. La neve era però pesante e da lì a poco cominciava a tirare un vento bastardo da ovest. Eravamo circa 10 freerider che volevano testare il nuovo fantastico snowboard della Völkl. Già alla prima discesa si notavano i lavoracci del vento, con qualche distacco di neve poco simpatico. Nel primo pomeriggio saliamo con la funivia al di sopra di Lech e ci facciamo le prime traccie della "Schwarzwand", la direttissima quasi sotto la funivia. Nessun distacco ed un pendio finale sotto le rocce da manuale.
Decidiamo di rifarla ed ecco che succede il patatrac. Presso uno dei traversi (corti) prima di arrivare al punto cruciale e più bello della discesa, con una visibilità abbastanza scarsa, eccoti Scharti scomparire sotto la valanga che si stacca sotto i suoi piedi con un boato. 4 di noi sono giù in basso, al sicuro dietro una roccia, altri 4, fra cui me, si trovano poco prima del gradone di distacco della valanga, alto circa 1 metro. Momenti di silenzio assoluto e irreale. Poi partono le prime urla "Scharti è sotto, Scharti è sotto!". Scharti è uno snowboarder professionista, così come altri 3 del nostro gruppo, di cui fa parte anche una guida alpina del posto. I 4 ai piedi della valanga mettono l'arva in posizione di ricerca, noi decidiamo di scendere proprio dove è partita la valanga, in modo da non rischiare altri distacchi. Scharti viene presto individuato, cominciamo a scavare, mentre la guida alpina chiama i soccorsi con il cellulare. I secondi mi sembrano delle ore, scaviamo prima con le pale poi a mani nude, quando, a 1 metro e 1/2 dalla superficie, individuiamo il corpo del nostro amico. Non si muove niente, giace in una posizione irreale con la testa in basso, a faccia in giù e la tavola in alto. Troviamo i suoi lunghissimi capelli rasta, scaviamo seguendoli per trovargli la testa e liberarla, in modo che riesca a respirare. Arriviamo al viso. È blu, lui è senza conoscenza. Vediamo se ha della neve in bocca, gli diamo qualche schiaffo e lo chiamiamo ad alta voce. Nessuno lo dice, ma molti pensano che sia morto. Poi il miracolo. Gli occhi si aprono. Contemporaneamente arriva l'elicottero. Noi continuiamo a scavare, lo liberiamo dagli attacchi della tavola e gli mettiamo una coperta di alluminio addosso. Il medico dell'elicottero controlla che non si sia rotto niente di grosso, Scharti vuole alzarsi e dice di poter scendere con la tavola!!!
Lo si mette in barella, l'elicottero parte e rimangono 8 persone shoccate su una montagna battuta dal vento. Comincia a nevicare copiosamente, le nostre faccie sono pallide, nessuno parla. Affrontiamo il resto della discesa alla bell'e meglio, torniamo in albergo. Sensazione stranissima, vedere un amico che sembra morto mentre fai una delle cose che ti piacciono di più, andare in neve fresca con lo snowboard. Scharti chiama dall'ospedale, dice che è tutto a posto e che non si è rotto niente.
E i miei pensieri vagano a più non posso, mi sento come un naufrago. Dura da digerire una cosa del genere.
Decidiamo di rifarla ed ecco che succede il patatrac. Presso uno dei traversi (corti) prima di arrivare al punto cruciale e più bello della discesa, con una visibilità abbastanza scarsa, eccoti Scharti scomparire sotto la valanga che si stacca sotto i suoi piedi con un boato. 4 di noi sono giù in basso, al sicuro dietro una roccia, altri 4, fra cui me, si trovano poco prima del gradone di distacco della valanga, alto circa 1 metro. Momenti di silenzio assoluto e irreale. Poi partono le prime urla "Scharti è sotto, Scharti è sotto!". Scharti è uno snowboarder professionista, così come altri 3 del nostro gruppo, di cui fa parte anche una guida alpina del posto. I 4 ai piedi della valanga mettono l'arva in posizione di ricerca, noi decidiamo di scendere proprio dove è partita la valanga, in modo da non rischiare altri distacchi. Scharti viene presto individuato, cominciamo a scavare, mentre la guida alpina chiama i soccorsi con il cellulare. I secondi mi sembrano delle ore, scaviamo prima con le pale poi a mani nude, quando, a 1 metro e 1/2 dalla superficie, individuiamo il corpo del nostro amico. Non si muove niente, giace in una posizione irreale con la testa in basso, a faccia in giù e la tavola in alto. Troviamo i suoi lunghissimi capelli rasta, scaviamo seguendoli per trovargli la testa e liberarla, in modo che riesca a respirare. Arriviamo al viso. È blu, lui è senza conoscenza. Vediamo se ha della neve in bocca, gli diamo qualche schiaffo e lo chiamiamo ad alta voce. Nessuno lo dice, ma molti pensano che sia morto. Poi il miracolo. Gli occhi si aprono. Contemporaneamente arriva l'elicottero. Noi continuiamo a scavare, lo liberiamo dagli attacchi della tavola e gli mettiamo una coperta di alluminio addosso. Il medico dell'elicottero controlla che non si sia rotto niente di grosso, Scharti vuole alzarsi e dice di poter scendere con la tavola!!!
Lo si mette in barella, l'elicottero parte e rimangono 8 persone shoccate su una montagna battuta dal vento. Comincia a nevicare copiosamente, le nostre faccie sono pallide, nessuno parla. Affrontiamo il resto della discesa alla bell'e meglio, torniamo in albergo. Sensazione stranissima, vedere un amico che sembra morto mentre fai una delle cose che ti piacciono di più, andare in neve fresca con lo snowboard. Scharti chiama dall'ospedale, dice che è tutto a posto e che non si è rotto niente.
E i miei pensieri vagano a più non posso, mi sento come un naufrago. Dura da digerire una cosa del genere.