La risposta è che «i rischi, lo dicono anche gli esperti, si possono evitare al 100% solamente smettendo di frequentare il bosco e le strade limitrofe. Personalmente considero una mostruosa menomazione questa soluzione».
Se le alternative sono «una passeggiata in ciclabile o inquinare di rumori un luogo che frequentiamo proprio perché è silenzioso, il professore di musica non ci sta e si associa «alle persone che desiderano poter tornare a frequentare le proprie montagne senza rischiare la salute o la vita o l'automobile, per un pomeriggio di pace... Sentir dire che l'orso generalmente non aggredisce, salvo che...; che la convivenza è possibile senza cambiare le nostre abitudini, ma...; che bastano gli accorgimenti suggeriti quasi sempre, a parte quando...; che gli incidenti accadono perché manca comunicazione... ecco, questo non ci aiuta, anzi, ci fa sentire come cittadini e cittadine del tutto abbandonati» è la convinzione di Bruschetti.
Pur con tutte le precauzioni del caso e nella consapevolezza che è difficile se non impossibile mettere in atto i consigli (allontanarsi lentamente, stare calmi, faccia a terra) “a cosa può servire la comunicazione? Solo ad una cosa: a dirci di stare a casa o di uscire a nostro rischio e pericolo. Io lo farò comunque, a mio rischio e pericolo, ma non mi sembra giusto. Non lo abbiamo scelto”.
”Se siamo arrivati a questo grado di allerta è evidente - così conclude Marco Bruschetti - che il progetto di reinserimento dell'orso in Trentino è diventato pericoloso, e che è un progetto che sta progressivamente togliendo libertà alle persone, che sta danneggiando il turismo e l'economia di montagna, che toglie vita a giovani e adulti che considerano irrinunciabile il rapporto con il bosco e la natura. Credo che la responsabilità sia del governo provinciale, di tutti i governi che si sono succeduti dalla nascita del progetto ad oggi ed è grave essere arrivati a questo punto”.