Mentre voi vi ingozzavate

, noi pedalavamo!

Cari soci, ecco a voi il report dell'escursione Asinara!
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Non sappiamo se sia stata più ardua l’impresa di prenotare il traghetto per recarsi all’Asinara o la gita in sé: fatto sta che ne è valsa la pena. E’ valsa la pena contattare tutti gli operatori pubblici e privati di trasporto marittimo per sentirsi dire quasi sempre “Non siamo ancora operativi”. E’ valsa la pena spingere l’armatore a contattare la capitaneria per convincerla che non è poi così pericoloso trasportare due biciclette. E’ valsa la pena sfidare il vento e le onde.
Giorno 1: 25 kilometri
Prima stazione: Sono le ore 17:00. Si parte! La salita di Fornelli sarà ardua. Ma dopo ogni salita c’è una discesa: è risaputo. Non abbiamo nessuna mappa, solo una foto dell’isola a bassissima risoluzione scaricata sul cellulare. Incontriamo un paio di persone che ci chiedono, incredule, se pensiamo di arrivare fino a Cala d’Oliva in bici e, soprattutto, se pensiamo di arrivarci in serata. La prima cosa che salta all’occhio, a parte gli asini albini ed i cavalli allo stato brado, è indubbiamente la diramazione Fornelli, dove è stato detenuto Totò Riina: poteva andargli peggio!
Il cuoco dell’ostello, il gentilissimo Gianni (che ringraziamo per averci salvati in extremis dall’ira funesta dei passeggeri del traghetto costretti ad aspettarci al ritorno, risparmiandoci 4 LUNGHISSIMI-data la circostanza-kilometri), ci offre un passaggio fino a Cala Reale. Ma noi, spinti da un comprensibile e scontato senso di orgoglio, proseguiamo il nostro cammino. Chi lo avrebbe mai detto che al ritorno avremmo accettato la stessa proposta con tale facilità ed entusiasmo?
Seconda stazione: Tumbarino. Un nome che suona familiare, se conoscete la nostra provenienza non è difficile capirne il motivo: nulla a che vedere con Bob Dylan o Franco Battiato. Qui ha sede l’osservatorio faunistico del parco nazionale.
Terza stazione: l’Ossario, dove sono deposte le ossa di quasi 5000 prigionieri di guerra austro-ungarici morti di tifo e colera tra il 1915 e 1916.
Quarta stazione: Campo Perdu. Ancora cavalli e asinelli e un filo spinato che ricorda vagamente il campo di concentramento di Auschwitz.
Quinta stazione: Cala Reale. Qui dovrebbe attraccare il traghetto da Porto Torres. Dovrebbe. Anche a Cala Reale prevale un senso di abbandono. Avremmo voluto avere la macchina del tempo per vedere all’opera quelle vecchie macchine agricole arrugginite e per capire come sia stato possibile trasformare un posto così bello in un luogo di emarginazione, isolamento, penitenza.
Sesta stazione: Cala d’oliva. Finalmente ci siamo. L’ostello è vicino. Ostello= riposo=doccia=cibo. E soprattutto arriva la discesa!
Giorno 2: 40 kilometri.
Possiamo scordarci il cemento e la strada scorrevole: iniziano la strada sterrata, il ciottolato e le rocce. Dopo una breve indecisione tra il sentiero del leccio ed il sentiero del faro, optiamo per il secondo e continuiamo la nostra via crucis.
Settima stazione: Cala Sabina. Se non fosse per le alghe penseremmo di essere stati catapultati all’improvviso in una spiaggia caraibica. Per fortuna ci sono l’euforbia ed il ginepro a ricordarci che il mare e le spiagge della Sardegna non hanno nulla da invidiare ai Caraibi.
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Ottava stazione: Torre aragonese. Non capiamo dove sia l’ingresso alla torre, ma non ha importanza: dopotutto noi nella zona A non dovremmo neppure esserci.
Nona stazione: L’incantevole e suggestivo faro . Benché stia cadendo a pezzi, conserva sempre il suo fascino. Non male l’idea della Regione Sardegna di dare i fari in concessione per uso turisti
Decima stazione: Cala D’Oliva. Ci dicono che l’ultimo traghetto è alle 16.30, che credevano di averci avvisati e che abbiamo mezzora di tempo per percorrere…24 kilometri (?!?!). Seppur distrutti, montiamo in sella e part
Undicesima stazione: Cala Reale. Non abbiamo il tempo di voltarci e contemplare il paesaggio.
Dodicesima stazione: Campu Per…è tardissimo!
Tredicesima stazione: l’Oss…E chi si gira? Siamo troppo impegnati a pedalare!
Quattordicesima stazione: Tumb…Stiamo per morire! Anzi..siamo proprio morti!
Quindicesima stazione: LA RESURREZIONE. Arriva il Deus ex machina Gianni, che ci conduce al porto di Fornelli sotto gli sguardi infastiditi dei passeggeri, costretti ad aspettare il nostro arrivo per più di un’ora. Perdonateci, non siamo stati avvisati.
Ciò che ci rimane dell’Asinara, a parte le foto, sono i ricordi dell’odore avvolgente del ginepro e del finocchio selvatico, il colore del mare, la fatica della salita e della discesa rallentata dal vento, il verde acceso delle scattanti -e numerose- lucertole, la fatiscenza delle strutture, la tranquillità degli asini e dei cinghiali, il senso di abbandono, il rumore delle onde ed il calore del sole di primavera in una clima di piacevole desolazione e sotto la gestione mediocre di uno dei parchi naturali più belli e meno sfruttati e valorizzati d’Italia.
http://www.mtb-forum.it/community/forum/attachment.php?attachmentid=145646&stc=1&d=1334177637