Due anni fa in Trentino giungo in cima a Prato Piazza, che sta circa a 2.000 metri e entro in un rifugio per prendere una birra.
Qualche minuto dopo entra un ciclista da strada che sembrava non vedesse l'ora che qualcuno gli chiedesse se era stato faticoso.
Glielo chiedo io, sono un estroverso, e lui si lancia in un interpretazione struggente e appassionata, sembrava che avesse appena scalato il Mortirolo con un pedalò, una fatica incredibile e la voglia di fermarsi tanta.
Io, che onestamente avevo sì faticato ma neanche tanto, ricordo di essermi stupito per la sua franchezza, per la sua serenità nel parlare con un altro ciclista dei suoi limiti.
Vabbé, nel salutarlo gli dico che adesso però potremo divertirci con la discesa, e lui sbianca.
Mi chiede con un filo di voce se sono un ciclista anch'io e ci rimane male quando gli dico di sì.
Io in bici vesto in modo simile a quello di un'escursionista a piedi, il pantaloncino col
fondello è coperto da un altro pantaloncino ed anche le
scarpe sono praticamente da escursionismo con gli attacchi spd.
Ebbene, il casco era fuori ettaccato alla bici e lui mi aveva scambiato per uno a piedi, pensava che tutti quelli al bancone del rifugio fossero a piedi, e non vedeva l'ora di vantarsi della sua impresa.
Addirittura l'ha enfatizzata, per vantarsene, non poteva essere stata davvero così terribile.
Quando si è accorto che stava parlando ad un altro ciclista tutto il teatrino gli è crollato.
Dunque non si stava confidando con un altro ciclista, ma stava facendo lo sborone con un escursionista...
Questo episodio però non vuole fare di tutta l'erba un fascio.
Quasi sempre, non so per quale ragione, gli umani tendono ad un primo contatto ad essere un po' più teste di minchia di quanto lo sono davvero, siamo malfidati, maldisposti, introversi.
Fortunatamente quasi sempre basta poco per rompere questa barriera, e devo dire che la bicicletta quasi sempre aiuta a farlo.
Claudio