Pedalare da soli, in silenzio è catartico.
Da un lato ci si libera fisicamente delle tossine, dall'altro si fa ordine e si fa spazio in testa.
Questo processo di pulizia permette alla mente e al corpo di essere più sensibile e in sintonia con se stessi e ciò che ci circonda.
Si ascoltano pensieri profondi, ci si immagina di continuare un discorso con qualcuno, ci si fa delle domande cruciali, che nel turbine quotidiano non si trova il tempo di elaborare.
Ma si è più aperti anche a captare ciò che ci circonda, un profumo di pino, di faggio, di terra umida, di fiori, di erba, di funghi... e il movimento delle luci e ombre diventa una danza ammaliante, quando si aprono gli occhi senza distrazioni.
I suoni del bosco con il canto di uccelli, fruscii di foglie, scampanii lontani, silenzi ricchissimi...
Io in tutto questo non trovo nulla di noioso: il cervello è impegnato a regolare il ritmo della pedalata, ascoltando il cuore e il respiro, perché l'efficienza sia massima, e al contempo la pulizia di tutti i pensieri nefasti, la formulazione di idee, lo studio di ipotesi, il restauro di ricordi, rende l'attività fisica un momento di grande fervore intellettuale.
E il ritorno all'attenzione primitiva per la Natura, risveglia l'istinto e la capacità di percepire la bellezza e i pericoli del contesto, preparandoci alla discesa, con la testa libera e le antenne alzate.
La fatica è un passaggio fondamentale nel processo di liberazione del superfluo.