Piove da una settimana, e avrei una voglia matta di prendere la biga. Ma diluvia, fa un freddo cane e sono in scadenza col lavoro, quindi mi limito a ricordare.
27 ottobre, domenica.
Mi alzo col buio, e metto su il caffè. E' presto, ma sono sveglissimo. Sono sempre eccitato prima di un'uscita.
Mi infilo i calzoni, le scarpe. mi chiedo se scegliere la giacca o lo smanicato, e alla fine li lascio a casa entrambi. E' previsto sole, e per essere ottobre sono giorni caldi.
Scendo, controllo le gomme, mi metto il casco. per strada nessuno salvo qualche runner che batte ritmicamente l'asfalto. infilo lo zaino, accendo l'orologio e parto.
Un chilometro dopo sono sul sentiero lungofiume che mi porterà verso i colli. Mi piace questo posto. Siamo in mezzo alle case, e tuttavia sembra già di essere altrove. Il silenzio è rotto solo dal cinguettio degli uccelli.
Entro quasi subito in trance, come mi capita di fare quando giro solo. Guardo il sentiero senza vederlo, la testa si svuota e rimane solo il respiro, che dà il ritmo alle gambe. Le mani frenano e cambiano le marce da sole, io non ci sono.
Riemergo dalle mie divagazioni per passare sotto il tunnel pedonale della ferrovia, che è largo pochi centimetri più del manubrio e richiede di passare a testa piegata, per non inzuccarsi. Dopo c'è un tratturo, lungo i campi, che si fa col concerto di un allevamento di cagnolini di razza. passo anche la discesina fangosa che segue, la cava di ghiaia e l'argine del fiume.
Inizio a concentrarmi, in vista del ripidino dell'undicesimo chilometro. Sono pochi metri, in effetti, ma girano a gomito e col fango il fondo è scivoloso. in un giro precedente ho già fatto un carpiato di testa oltre il manubrio, sbagliando la modulazione del freno anteriore. Scendo ai due all'ora. Sono ancora un verginello, e non mi sento di osare.
Al quindicesimo chilometro mollo il sentiero, prendo la deviazione che attraversa il torrente e sono sulla provinciale di fondovalle. il mio obiettivo è un certo pilastrino votivo in alto a destra, da qualche parte sopra i calanchi. ho già provato ad arrivarci, seguendo il cosiddetto sentiero di sant'antonio. Ma il percorso è ripido e concepito per chi gira a piedi, e io non ho ancora abbastanza fiato e gambe.
Stavolta la prendo larga, girando intorno al paese a valle, e mi perdo subito. Queste cacchio di stradine collinari non hanno nemmeno un cartello e io mi scoccio a tirare fuori di continuo il cellulare per verificare il percorso.
Intanto salgo. E' la prima volta che faccio questa strada, anzi: è la prima volta che, grazie alla mtb, vedo posti che stanno ad un tiro di schioppo da casa.
Continuo a salire, arrampicandomi in stradine che mi sembrano verticali, fino a che non incontro tratti che devo fare col rapporto più corto che ho.
E qui è un disastro. se tengo il rapporto corto, salgo ma devo pedalare come un matto per stare in piedi; se metto un rapporto più lungo, non salgo proprio. Insomma, o mi manca il fiato, oppure le gambe. Una via di mezzo non riesco a trovarla e quindi, per certi pezzi, cammino, incrociando ogni tanto gente che scende a manetta.
"Saranno degli dei", penso infilandomi in un piazzale che finisce in un sentiero che finisce in un prato che finisce in una cresta.
Ca**o, la cresta. Sarà larga un metro e mezzo, coi calanchi che scendono a strapiombo sulla destra, rendendo il paesaggio quasi lunare. Da quel punto, col cielo terso, vedo Bologna, le cui torri si stagliano in lontananza. Vorrei fare delle foto, tanto è bello il posto ed il panorama, ma se qualcuno scendesse sarei un ostacolo. Rinuncio alle foto e mi affretto ad attraversare, per rientrare nella boscaglia dall'altra parte.
Sono al km 23 e rotti, secondo il GPS il pilastrino dovrebbe essere qui che arriva. E da lì parte un certo sentiero del CAI, con belle discese, che mi riporterà a valle.
Passa qualche altro alieno in bici, che evidentemente è stato in grado di sopprimere la forza di gravità, quando vedo l'imbocco del sentiero. Del pilastro non c'è traccia, deve essere un poco più avanti, ma chissene.
Lo prendo, lavorando di freni mentre in piedi sui pedali mi godo un paio di chilometri di discesa. E' il mio primo lungo, in discesa. inizio lento, molto guardingo, e finisco pian piano per mollare, fino a raggiungere un punto dove ero già stato in precedenza. Ricordo che l'avevo fatto in gran prudenza, con una certa strizza, finendo pure per bucare. Ora mi sento tranquillo, ho ancora tanto da imparare ma credo, in questi due chilometri, di essere cresciuto.
Attraverso la fondovalle, eccomi di nuovo al guado del fiume. Faccio i 15 chilometri del ritorno in uno stato di beatitudine. la giornata si è scaldata e io sono in calzoni a pinocchietto e maglietta a maniche corte. Arrivo al ripidino che mi rendeva guardingo, e torno indietro per rifarlo, stavolta, in scioltezza. Non sono più vergine, mi sa.
Arrivo a casa, blocco il GPS che segna quasi esattamente 40 chilometri, metto la bici in garage e sorrido mentre mi faccio una doccia. E' ammore.
NB: scoprirò in serata, girovagando su internet, che gli dei antigravità che incontravo salgono con ogni probabilità da un'altra strada, dove la salita è più lunga ma meno dura, e che io la stavo facendo dal verso sbagliato. La prossima volta provo anche io ....
27 ottobre, domenica.
Mi alzo col buio, e metto su il caffè. E' presto, ma sono sveglissimo. Sono sempre eccitato prima di un'uscita.
Mi infilo i calzoni, le scarpe. mi chiedo se scegliere la giacca o lo smanicato, e alla fine li lascio a casa entrambi. E' previsto sole, e per essere ottobre sono giorni caldi.
Scendo, controllo le gomme, mi metto il casco. per strada nessuno salvo qualche runner che batte ritmicamente l'asfalto. infilo lo zaino, accendo l'orologio e parto.
Un chilometro dopo sono sul sentiero lungofiume che mi porterà verso i colli. Mi piace questo posto. Siamo in mezzo alle case, e tuttavia sembra già di essere altrove. Il silenzio è rotto solo dal cinguettio degli uccelli.
Entro quasi subito in trance, come mi capita di fare quando giro solo. Guardo il sentiero senza vederlo, la testa si svuota e rimane solo il respiro, che dà il ritmo alle gambe. Le mani frenano e cambiano le marce da sole, io non ci sono.
Riemergo dalle mie divagazioni per passare sotto il tunnel pedonale della ferrovia, che è largo pochi centimetri più del manubrio e richiede di passare a testa piegata, per non inzuccarsi. Dopo c'è un tratturo, lungo i campi, che si fa col concerto di un allevamento di cagnolini di razza. passo anche la discesina fangosa che segue, la cava di ghiaia e l'argine del fiume.
Inizio a concentrarmi, in vista del ripidino dell'undicesimo chilometro. Sono pochi metri, in effetti, ma girano a gomito e col fango il fondo è scivoloso. in un giro precedente ho già fatto un carpiato di testa oltre il manubrio, sbagliando la modulazione del freno anteriore. Scendo ai due all'ora. Sono ancora un verginello, e non mi sento di osare.
Al quindicesimo chilometro mollo il sentiero, prendo la deviazione che attraversa il torrente e sono sulla provinciale di fondovalle. il mio obiettivo è un certo pilastrino votivo in alto a destra, da qualche parte sopra i calanchi. ho già provato ad arrivarci, seguendo il cosiddetto sentiero di sant'antonio. Ma il percorso è ripido e concepito per chi gira a piedi, e io non ho ancora abbastanza fiato e gambe.
Stavolta la prendo larga, girando intorno al paese a valle, e mi perdo subito. Queste cacchio di stradine collinari non hanno nemmeno un cartello e io mi scoccio a tirare fuori di continuo il cellulare per verificare il percorso.
Intanto salgo. E' la prima volta che faccio questa strada, anzi: è la prima volta che, grazie alla mtb, vedo posti che stanno ad un tiro di schioppo da casa.
Continuo a salire, arrampicandomi in stradine che mi sembrano verticali, fino a che non incontro tratti che devo fare col rapporto più corto che ho.
E qui è un disastro. se tengo il rapporto corto, salgo ma devo pedalare come un matto per stare in piedi; se metto un rapporto più lungo, non salgo proprio. Insomma, o mi manca il fiato, oppure le gambe. Una via di mezzo non riesco a trovarla e quindi, per certi pezzi, cammino, incrociando ogni tanto gente che scende a manetta.
"Saranno degli dei", penso infilandomi in un piazzale che finisce in un sentiero che finisce in un prato che finisce in una cresta.
Ca**o, la cresta. Sarà larga un metro e mezzo, coi calanchi che scendono a strapiombo sulla destra, rendendo il paesaggio quasi lunare. Da quel punto, col cielo terso, vedo Bologna, le cui torri si stagliano in lontananza. Vorrei fare delle foto, tanto è bello il posto ed il panorama, ma se qualcuno scendesse sarei un ostacolo. Rinuncio alle foto e mi affretto ad attraversare, per rientrare nella boscaglia dall'altra parte.
Sono al km 23 e rotti, secondo il GPS il pilastrino dovrebbe essere qui che arriva. E da lì parte un certo sentiero del CAI, con belle discese, che mi riporterà a valle.
Passa qualche altro alieno in bici, che evidentemente è stato in grado di sopprimere la forza di gravità, quando vedo l'imbocco del sentiero. Del pilastro non c'è traccia, deve essere un poco più avanti, ma chissene.
Lo prendo, lavorando di freni mentre in piedi sui pedali mi godo un paio di chilometri di discesa. E' il mio primo lungo, in discesa. inizio lento, molto guardingo, e finisco pian piano per mollare, fino a raggiungere un punto dove ero già stato in precedenza. Ricordo che l'avevo fatto in gran prudenza, con una certa strizza, finendo pure per bucare. Ora mi sento tranquillo, ho ancora tanto da imparare ma credo, in questi due chilometri, di essere cresciuto.
Attraverso la fondovalle, eccomi di nuovo al guado del fiume. Faccio i 15 chilometri del ritorno in uno stato di beatitudine. la giornata si è scaldata e io sono in calzoni a pinocchietto e maglietta a maniche corte. Arrivo al ripidino che mi rendeva guardingo, e torno indietro per rifarlo, stavolta, in scioltezza. Non sono più vergine, mi sa.
Arrivo a casa, blocco il GPS che segna quasi esattamente 40 chilometri, metto la bici in garage e sorrido mentre mi faccio una doccia. E' ammore.
NB: scoprirò in serata, girovagando su internet, che gli dei antigravità che incontravo salgono con ogni probabilità da un'altra strada, dove la salita è più lunga ma meno dura, e che io la stavo facendo dal verso sbagliato. La prossima volta provo anche io ....