Il noto alpinista bergamasco tornerà sull'Ottomila dopo essersi fermato a 300 metri dalla vetta L'ostacolo maggiore nella spedizione dell'inverno scorso il freddo intensissimo (- 52 gradi)
Testa dura questo Moro. Molti, dopo esperienze come le sue invernali in Himalaya, avrebbero messo da parte ogni velleità di raggiungere un ottomila nella stagione meno propizia alle ortiche. Ma chi te lo fa fare di scalare quando la temperatura si aggira costantemente tra i meno trenta e i meno cinquanta? Chi ti obbliga a rischiare, nella migliore delle ipotesi, di restare bloccato giorni e giorni al campo base a spalare neve rischiando anche terribili valanghe, come gli capitò nel '97 quando all'Annapurna Fang perse l'amico e compagno di spedizione Anatoli Boukrev? E chi te lo fa fare di tornare a casa con le dita viola per i congelamenti che a volte si mangiano qualche pezzettino di falange? Già: chi te lo fa fare?
Chiedetelo a lui, a Simone Moro - che per il secondo anno consecutivo si appresta ad affrontare lo Shisha Pangma in inverno - e la risposta sarà sempre la stessa: passione naturalmente. Ma anche tanto voglia di proseguire lungo la strada di un alpinismo diverso, sempre meno scontato e sempre più tecnico. Di nuovo lo Shisha, dunque.
Di nuovo la squadra dello scorso anno: Moro più quattro polacchi: Dariusz Zaluski, Jan Szulc, Jacek Jawien, Piotr Morawski. Con loro, e in particolare a Piotr che accompagnò lo scalatore orobico fino al termine della spedizione, lo scorso anno la vetta venne sfiorata. I due si dovettero fermare a 300 metri dalla cima di 8.027 metri per le proibitive condizioni climatiche (meno 52 gradi), alcuni congelamenti e un tramonto ormai troppo incombente. Portarono a casa però quell'itinerario inedito lungo la lunghissima parete sud, poco lontano dall'irripetuta via «Corridor Girona» aperta dagli spagnoli nel 1995, che a livello alpinistico rappresenta un autentico capolavoro, ma che senza la vetta ha lasciato comunque un po' di amaro in bocca. E allora si torna. Quando? Partenza ai primi di dicembre e rientro all'inizio di febbraio.
«Con l'inverno alle porte - sottolinea Moro - è tornata la voglia di rilanciare il progetto e concretizzare il sogno. Un sogno sul serio, visto che su 14 ottomila solo sette sono stati scalati in inverno e tra gli autori di queste ascensioni non c'è nemmeno un alpinista occidentale. Tutti dell'est con le grandi imprese di Krzysztof Wielicki sull'Everest nell'82, sul Kangchenjunga nell'85 e sul Lhotse nell'88 e di Jerzy Kukuczka sul Kangchenjunga nell'85, sull'Annapurna nell'87 e sul Lhotse nell'88. Quest'anno mi piacerebbe aggiungere la prima firma di un italiano».
A dire il vero, almeno nella prima parte della spedizione, di italiano, per di più bergamasco doc, ce ne sarà un altro: Bruno Tassi, il Camòs che delle vette himalaiane si era innamorato la scorsa primavera quando assieme allo stesso Moro salì sulla cima del Baruntse. «Ci seguirà durante tutta la fase dell'acclimatamento - aggiunge Simone Moro - e non escludiamo di tentare anche una vetta ancora inviolata nella valle del Kumbu: sarà l'occasione per guardarci in giro e maturare magari qualche altro progetto futuro da realizzare assieme. Tra sei e settemila c'è solo l'imbarazzo della scelta. Quella della scorsa stagione - che per Bruno ha rappresentato la prima uscita himalaiana - è stata davvero un'esperienza positiva. Ci siamo trovati benissimo».
Per il momento in testa c'è lo Shisha Pangma, il cui nome in tibetano significa «cresta sui pascoli» con un chiaro riferimento alla natura prorompente che lo avvolge. Simone e compagni però di verde non ne vedranno nemmeno un po'. Il colore dominante sarà ovviamente il bianco dei pendii ammantati di neve e l'auspicio è che l'inverno sia per lo meno clemente.
«Se fosse come quello dello scorso anno - si augura lo scalatore bergamasco - andrebbe benissimo. A parte il rigore delle temperature, che è ovviamente una costante, è stata una stagione decisamente secca e quindi particolarmente indicata alle ascensioni. Per non tradire comunque lo spirito che ci spinge quaggiù cominceremo l'attività alpinistica vera e propria dopo il 21 dicembre e cioè in corrispondenza l'inizio ufficiale dell'inverno. La via di salita? Decideremo al momento, in base alle condizioni della parete. L'intenzione è comunque di allestire un paio di campi al posto dell'unico montato lo scorso anno, ma anche questo verrà decise al momento».
Per sapere come andrà a finire non resta dunque che seguire la spedizione. Anche quest'anno sarà possibile farlo passo passo grazie al sito internet dell'alpinista bergamasco www.simonemoro.com con una novità tecnologica non indifferente: grazie a un software messo a punto da mounteverest.net, a un palmare fornito dalla Irce di Modena e al telefono satellitare Moro potrà inviare le immagini in tempo reale anche dalla vetta, mentre negli scorsi anni si doveva attendere il rientro al campo base o comunque al campo più vicino.
Testa dura questo Moro. Molti, dopo esperienze come le sue invernali in Himalaya, avrebbero messo da parte ogni velleità di raggiungere un ottomila nella stagione meno propizia alle ortiche. Ma chi te lo fa fare di scalare quando la temperatura si aggira costantemente tra i meno trenta e i meno cinquanta? Chi ti obbliga a rischiare, nella migliore delle ipotesi, di restare bloccato giorni e giorni al campo base a spalare neve rischiando anche terribili valanghe, come gli capitò nel '97 quando all'Annapurna Fang perse l'amico e compagno di spedizione Anatoli Boukrev? E chi te lo fa fare di tornare a casa con le dita viola per i congelamenti che a volte si mangiano qualche pezzettino di falange? Già: chi te lo fa fare?
Chiedetelo a lui, a Simone Moro - che per il secondo anno consecutivo si appresta ad affrontare lo Shisha Pangma in inverno - e la risposta sarà sempre la stessa: passione naturalmente. Ma anche tanto voglia di proseguire lungo la strada di un alpinismo diverso, sempre meno scontato e sempre più tecnico. Di nuovo lo Shisha, dunque.
Di nuovo la squadra dello scorso anno: Moro più quattro polacchi: Dariusz Zaluski, Jan Szulc, Jacek Jawien, Piotr Morawski. Con loro, e in particolare a Piotr che accompagnò lo scalatore orobico fino al termine della spedizione, lo scorso anno la vetta venne sfiorata. I due si dovettero fermare a 300 metri dalla cima di 8.027 metri per le proibitive condizioni climatiche (meno 52 gradi), alcuni congelamenti e un tramonto ormai troppo incombente. Portarono a casa però quell'itinerario inedito lungo la lunghissima parete sud, poco lontano dall'irripetuta via «Corridor Girona» aperta dagli spagnoli nel 1995, che a livello alpinistico rappresenta un autentico capolavoro, ma che senza la vetta ha lasciato comunque un po' di amaro in bocca. E allora si torna. Quando? Partenza ai primi di dicembre e rientro all'inizio di febbraio.
«Con l'inverno alle porte - sottolinea Moro - è tornata la voglia di rilanciare il progetto e concretizzare il sogno. Un sogno sul serio, visto che su 14 ottomila solo sette sono stati scalati in inverno e tra gli autori di queste ascensioni non c'è nemmeno un alpinista occidentale. Tutti dell'est con le grandi imprese di Krzysztof Wielicki sull'Everest nell'82, sul Kangchenjunga nell'85 e sul Lhotse nell'88 e di Jerzy Kukuczka sul Kangchenjunga nell'85, sull'Annapurna nell'87 e sul Lhotse nell'88. Quest'anno mi piacerebbe aggiungere la prima firma di un italiano».
A dire il vero, almeno nella prima parte della spedizione, di italiano, per di più bergamasco doc, ce ne sarà un altro: Bruno Tassi, il Camòs che delle vette himalaiane si era innamorato la scorsa primavera quando assieme allo stesso Moro salì sulla cima del Baruntse. «Ci seguirà durante tutta la fase dell'acclimatamento - aggiunge Simone Moro - e non escludiamo di tentare anche una vetta ancora inviolata nella valle del Kumbu: sarà l'occasione per guardarci in giro e maturare magari qualche altro progetto futuro da realizzare assieme. Tra sei e settemila c'è solo l'imbarazzo della scelta. Quella della scorsa stagione - che per Bruno ha rappresentato la prima uscita himalaiana - è stata davvero un'esperienza positiva. Ci siamo trovati benissimo».
Per il momento in testa c'è lo Shisha Pangma, il cui nome in tibetano significa «cresta sui pascoli» con un chiaro riferimento alla natura prorompente che lo avvolge. Simone e compagni però di verde non ne vedranno nemmeno un po'. Il colore dominante sarà ovviamente il bianco dei pendii ammantati di neve e l'auspicio è che l'inverno sia per lo meno clemente.
«Se fosse come quello dello scorso anno - si augura lo scalatore bergamasco - andrebbe benissimo. A parte il rigore delle temperature, che è ovviamente una costante, è stata una stagione decisamente secca e quindi particolarmente indicata alle ascensioni. Per non tradire comunque lo spirito che ci spinge quaggiù cominceremo l'attività alpinistica vera e propria dopo il 21 dicembre e cioè in corrispondenza l'inizio ufficiale dell'inverno. La via di salita? Decideremo al momento, in base alle condizioni della parete. L'intenzione è comunque di allestire un paio di campi al posto dell'unico montato lo scorso anno, ma anche questo verrà decise al momento».
Per sapere come andrà a finire non resta dunque che seguire la spedizione. Anche quest'anno sarà possibile farlo passo passo grazie al sito internet dell'alpinista bergamasco www.simonemoro.com con una novità tecnologica non indifferente: grazie a un software messo a punto da mounteverest.net, a un palmare fornito dalla Irce di Modena e al telefono satellitare Moro potrà inviare le immagini in tempo reale anche dalla vetta, mentre negli scorsi anni si doveva attendere il rientro al campo base o comunque al campo più vicino.