Alla Lessinia Legend, dopo qualche anno, viene riproposto il percorso Marathon: quasi cento chilometri e salite abbordabili ma continue. La logistica, alla periferia di Verona, tutta concentrata nella caserma dell'esercito "G.Duca", i cui soldati e soldatesse (eh sì, adesso ci sono anche loro... e più di qualcuno ha fatto un pensierino a ri-arruolarsi) occupati a fare parcheggiatori e verifica tessere, oppure dispersi in mezzo ai monti a segnare percorso, presidiare bivi e presenziare ai ristori.
La partenza è puntuale alle ore 8.30, nell'immensa area adunate della caserma: i primi metri vengono percorsi pochi metri sotto l'elicottero dei Vigili del Fuoco, tra raffiche di vento micidiali e un rumore assordante. Usciti dalla caserma tutti partono a razzo, a parte la coda del gruppone: tanto sappiamo che alla prima salita se ne pianteranno la metà. E così sarà...
Le prime due salite passano veloci: la prima su asfalto, la seconda (il celeberrimo "Piccolo Stelvio") tra spettacolari sequenze di tornanti immersi negli ulivi con meravigliosi panorami sulla rigogliosa Valpantena.
E' solo con la terza salita, però, che si inizia a far sul serio; lungo gli oltre sei chilometri verso il Monte Santa Viola ognuno sale col proprio passo: non siamo ancora a un quarto di gara, e forzare già da adesso sarebbe un suicidio visti gli oltre ottanta chilometri che ancora ci aspettano. I bivi sono ben presidiati da soldati e soldatesse, e il percorso segnato in modo ottimo, per ora.
Poco prima di Cerro Veronese, e poco dopo il bivio per il percorso corto, al secondo ristoro (il primo, dopo circa quindici chilometri e con sole bevande, è passato via veloce) è bene iniziare ad alimentarsi bene e abbondantemente: la strada ancora da fare è tanta e la crisi di fame è sempre in agguato.
Riparto che sono da solo, più verso il fondo della corsa che la testa, ma tanto oggi quello che conta è divertirsi, gustarsi il percorso e, soprattutto, arrivare; iniziano a presentarsi alcuni tratti in discesa dove le frecce scarseggiano, ma andando a naso fortunatamente trovo sempre la strada giusta.
La salita verso Grobberi è, seppur lunga, molto discontinua e dal fondo molto scorrevole: l'ideale per prendere un buon ritmo e poter allo stesso tempo gustarsi la Lessinia, il magnifico territorio in cui siamo immersi; il cielo sembra aprirsi e la vista può spaziare dalle vette innevate delle Dolomiti al Monte Baldo, fino alla pianura Padana e alla città di Verona, quel lontano e rossastro punto di partenza e d'arrivo, che dopo tre ore di corsa è ancora più vicino come partenza che come arrivo. Si attraversano innumerevoli e isolati paesi di montagna: un mondo dove il tempo sembra essersi fermato a cinquant'anni fa, con mucche al pascolo e vicoli stretti, in mezzo a stalle e vecchie case di pietra ancora abitate da pochi ma ostinati vecchi, tra prati e piccoli angoli di paradiso come la Valle dell'Orso
Ma non c'è tempo abbastanza per notare tutto, che inizia la tecnica discesa verso il fondo del Vajo Squaranto, la valle risalita per chilometri fin da Cerro Veronese, che verrà poco dopo risalita nuovamente per un breve tratto fino al ristoro, il terzo di giornata.
I ristori erano l'occasione per vedere un po' più di bikers che lungo il percorso, dato che l'esiguo numero di partecipanti e l'elevata lunghezza del tracciato rendevano i sentieri e le strade per nulla "affollate": fin dai primi chilometri di corsa, in coda alla gara, si era formato il gruppetto degli "avventurosi", bikers con l'unico scopo di arrivare alla fine (che dopo quasi cento chilometri è già un successo) con in testa solo il tempo massimo; per strada ci si perdeva, ognuno con il proprio (lento) passo, ma ai ristori ci si ritrovava, scambiandosi opinioni e incitamenti per andare avanti. Ed è dal ristoro del quarantesimo chilometro, dopo il Vajo Squaranto, che inizia l'avventura.
Dal ristoro fino a Velo Veronese, lungo una noiosa striscia d'asfalto prima in salita poi in discesa, c'è tempo per rifocillarsi, godersi il paesaggio e riposare la gamba, ma dopo aver superato il piccolo centro montano resto da solo. Nella salita verso Gaigari, al chilometro cinquantacinque, supero due bikers affaticati, poi più nulla per chilometri e chilometri.
Sono rimasto solo io, la bike, e la montagna: le fettucce, le frecce e i soldati sono lì solo per me, le traiettorie sono tutte mie. Si inizia a scendere! Si susseguono continuamente variazioni di fondo, dall'asfalto alla ghiaia, dai single track a fantastici tagli sui prati, lungo una traccia in mezzo a alti erboni, puntando decisamente verso sud, verso Verona che si vede laggiù in fondo, ora forse un po' più vicina.
Scendo velocemente lungo tratti sempre scorrevolissimi e tecnici al punto giusto, divertendomi come un matto e senza rischiare (mancano ancora più di quaranta chilometri), facendo le traiettorie che voglio senza dover lasciare strada a nessuno o, ancora peggio, dover frenare per dei "tappi" davanti a me. Ogni tanto il percorso si perde nei meandri del bosco e dei prati, qualche bivio non è ben segnalato e sbaglio un paio di volte strada: pazienza, sono cento chilometri e i bivi tantissimi; mi abituo allora a cercare e seguire, nel dubbio, le tracce di chi mi ha preceduto chissà quanto tempo prima, ore o minuti, aumentando così il senso di "avventura". La discesa continua, è una goduria interrotta solo dalla salita verso il Monte Alto, teatro di un curioso siparietto al ristoro con dei militari che ormai ne avevano le balle piene di stare in mezzo ai monti per ore a vedere passare (ogni tanto) qualche ciclista.
Arrivo, e c'è già un biker (il primo che vedo dopo mezz'ora): mi fermo giusto che sta partendo e momenti ci accartocciamo (e già qui le prime battute..."Siete solo in due e siete anche capaci di cadere", ecc...). Inizio a ingozzarmi di cose buone, ma faccio l'errore di valutare la gara quasi "finita" pur mancando quaranta chilometri e cinquecento metri di dislivello, e assimilo più zuccheri che altro: verso la fine pagherò questo errore. Mentre mi abbuffo un militare, di chiare origini napoletane, mi chiede: "Ma quanto costa 'sta bici?" E al mio "3" con la mano, in tono scherzoso ed ironico, mi dice: "Tutti quei soldi? E vai così piano? Tanto vale che te ne compri una che costa meno!". Li saluto divertito e riparto, per la seconda parte di discesa.
Al termine della picchiata ecco lo strappo di Centro, più lungo del previsto, e sotto un sole che inizia a battere piuttosto forte: la temperatura lievita oltre i trenta gradi. Poi la discesa: un po' sconnessa ma piuttosto facile ed agevole; la stanchezza e la fatica iniziano a farsi sentire sempre più, con la concentrazione che scema man mano che proseguo nella discesa.
Mi ripeto continuamente "Non è finita, i problemi sono sempre in agguato, devo restare concentrato"... non faccio tempo a ripetermelo per l'ennesima volta che vedo un ostacolo bianco di traverso, forse una canalina per lo scolo dell'acqua. d'istinto tiro su la ruota davanti, ma per quella dietro neanche l'ammortizzatore può far nulla. Foratura!
Maledetto chi mi ha consigliato i Maxxis Larsen... coi Michelin ho fatto fuoco e fiamme senza problemi per un anno, con questi foratura al primo montaggio. Riparo il tubless con la schiuma ma purtroppo si è danneggiato anche il tallone: per fortuna la pressione, seppur bassa, mi consente di continuare la corsa anche se a un ritmo più blando. Durante la riparazione, finalmente e dopo circa venti chilometri, rivedo qualche altro bikers che mi sorpassa: tutti molto cordiali e pronti ad aiutare; chi ha come scopo "arrivare" non si fa scrupoli a perdere tempo per assistere chi è in difficoltà, come quello che ha trainato negli ultimi dieci chilometri un biker con la catena rotta... queste scene si vedono molto raramente nelle granfondo "normali": le marathon sono tutt'altro.
Continuo, quindi, ma ora con il morale sotto le ruote e i primi sintomi di fame (perchè al ristoro ho preso solo zuccheri?) e del caldo (si sfiorano i trentacinque gradi): si prospettano venti chilometri difficili...
Invece pian pianino e con un passo regolare, ora in compagnia di altri concorrenti "alla frutta" come me, raggiungo la cima della penultima salitella: all'ultimo (ma ancora abbastanza ben fornito) ristoro faccio il pieno di zuccheri (questa volta correttamente) il cui effetto lo sentirò verso le ultime rampe della salita di Camuzzini, finalmente l'ultima di giornata, dove da un momento all'altro cambio ritmo ritrovando una pedalata potente ed efficace, aiutato dall'effetto psicologico di sapere che, finalmente, è "QUASI" finita.
Affronto l'ultima tecnica discesa con calma, e mi appresto a percorrere gli ultimi cinque chilometri in compagnia di qualche compagno d'avventura. Annebbiato dalla fatica sbaglio nuovamente strada ma chi mi segue prontamente se ne accorge e mi riconduce sulla retta via, tra argini e campi, campi e ancora campi.
Poi, in lontananza, del filo spinato: la caserma! Sono arrivato! Sull'onda dell'entusiasmo sbuco sull'asfalto a tutta, ma incredibilmente nessuno controlla il bivio; fortuna vuole che con la coda dell'occhio mi accorga dell'arrivo di una macchina... è questione di un attimo, ma tra clacson e imprecazioni la schivo: ho rischiato l'investimento per pochi centimetri.... a pochi metri dall'arrivo! Una situazione scandalosa e pericolosissima, come anche il mancato avviso di entrare nella caserma: a decine hanno girato per le strade attorno al complesso militare in carca della strada giusta, ma solo in pochi l'hanno trovata; nessuna indicazione, nessuna persona a segnalare: quando me ne sono accorto ho dovuto fare dietrofront per trecento metri, avvisando tutti quelli che incontravo e che, inevitabilmente, sbagliavano strada.
L'arrivo nella caserma è mesto, con poca gente e smontaggio delle strutture in corso: non è accettabile, sono quasi le tre e mezza del pomeriggio, sei ore e quarantacinque massacranti di corsa, con gente ancora lungo il percorso, e chi arriva si trova... niente!
Come in molte altre corse, dovrebbero imparare anche qui dalla Dolomiti Superbike: dopo otto ore di corsa (quattro dall'arrivo dei primi) la piazza ancora stracolma di gente e lo speaker a incitare tutti quelli che arrivano.... queste sono soddisfazioni!
Chiude la giornata il pasta party, molto abbondante ma di qualità mediocre (il classico rancio da caserma) e dalla logistica imbarazzante (seduti sul prato, con distribuzione bevande e cibo lontani tra loro); tuttavia i diversi problemi che si sono presentati, soprattutto nel finale e nel dopo-gara, alla fin fine questa volta non mi interessano, sono disposto a chiudere anche tutti e due gli occhi.
Oggi ho corso per 6 ore e 45 minuti, 98 chilometri e oltre 2700 metri di dislivello: una soddisfazione immensa poter percorrere per ore sentieri tracciati e presidiati in una gara (perchè alla fin fine questo è) da solo e senza pressioni, in compagnia esclusivamente della bici e la montagna sotto le ruote. E' solo così che che la "gara" diventa avventura: quando è Marathon "vera".
La partenza è puntuale alle ore 8.30, nell'immensa area adunate della caserma: i primi metri vengono percorsi pochi metri sotto l'elicottero dei Vigili del Fuoco, tra raffiche di vento micidiali e un rumore assordante. Usciti dalla caserma tutti partono a razzo, a parte la coda del gruppone: tanto sappiamo che alla prima salita se ne pianteranno la metà. E così sarà...
Le prime due salite passano veloci: la prima su asfalto, la seconda (il celeberrimo "Piccolo Stelvio") tra spettacolari sequenze di tornanti immersi negli ulivi con meravigliosi panorami sulla rigogliosa Valpantena.
E' solo con la terza salita, però, che si inizia a far sul serio; lungo gli oltre sei chilometri verso il Monte Santa Viola ognuno sale col proprio passo: non siamo ancora a un quarto di gara, e forzare già da adesso sarebbe un suicidio visti gli oltre ottanta chilometri che ancora ci aspettano. I bivi sono ben presidiati da soldati e soldatesse, e il percorso segnato in modo ottimo, per ora.
Poco prima di Cerro Veronese, e poco dopo il bivio per il percorso corto, al secondo ristoro (il primo, dopo circa quindici chilometri e con sole bevande, è passato via veloce) è bene iniziare ad alimentarsi bene e abbondantemente: la strada ancora da fare è tanta e la crisi di fame è sempre in agguato.
Riparto che sono da solo, più verso il fondo della corsa che la testa, ma tanto oggi quello che conta è divertirsi, gustarsi il percorso e, soprattutto, arrivare; iniziano a presentarsi alcuni tratti in discesa dove le frecce scarseggiano, ma andando a naso fortunatamente trovo sempre la strada giusta.
La salita verso Grobberi è, seppur lunga, molto discontinua e dal fondo molto scorrevole: l'ideale per prendere un buon ritmo e poter allo stesso tempo gustarsi la Lessinia, il magnifico territorio in cui siamo immersi; il cielo sembra aprirsi e la vista può spaziare dalle vette innevate delle Dolomiti al Monte Baldo, fino alla pianura Padana e alla città di Verona, quel lontano e rossastro punto di partenza e d'arrivo, che dopo tre ore di corsa è ancora più vicino come partenza che come arrivo. Si attraversano innumerevoli e isolati paesi di montagna: un mondo dove il tempo sembra essersi fermato a cinquant'anni fa, con mucche al pascolo e vicoli stretti, in mezzo a stalle e vecchie case di pietra ancora abitate da pochi ma ostinati vecchi, tra prati e piccoli angoli di paradiso come la Valle dell'Orso
Ma non c'è tempo abbastanza per notare tutto, che inizia la tecnica discesa verso il fondo del Vajo Squaranto, la valle risalita per chilometri fin da Cerro Veronese, che verrà poco dopo risalita nuovamente per un breve tratto fino al ristoro, il terzo di giornata.
I ristori erano l'occasione per vedere un po' più di bikers che lungo il percorso, dato che l'esiguo numero di partecipanti e l'elevata lunghezza del tracciato rendevano i sentieri e le strade per nulla "affollate": fin dai primi chilometri di corsa, in coda alla gara, si era formato il gruppetto degli "avventurosi", bikers con l'unico scopo di arrivare alla fine (che dopo quasi cento chilometri è già un successo) con in testa solo il tempo massimo; per strada ci si perdeva, ognuno con il proprio (lento) passo, ma ai ristori ci si ritrovava, scambiandosi opinioni e incitamenti per andare avanti. Ed è dal ristoro del quarantesimo chilometro, dopo il Vajo Squaranto, che inizia l'avventura.
Dal ristoro fino a Velo Veronese, lungo una noiosa striscia d'asfalto prima in salita poi in discesa, c'è tempo per rifocillarsi, godersi il paesaggio e riposare la gamba, ma dopo aver superato il piccolo centro montano resto da solo. Nella salita verso Gaigari, al chilometro cinquantacinque, supero due bikers affaticati, poi più nulla per chilometri e chilometri.
Sono rimasto solo io, la bike, e la montagna: le fettucce, le frecce e i soldati sono lì solo per me, le traiettorie sono tutte mie. Si inizia a scendere! Si susseguono continuamente variazioni di fondo, dall'asfalto alla ghiaia, dai single track a fantastici tagli sui prati, lungo una traccia in mezzo a alti erboni, puntando decisamente verso sud, verso Verona che si vede laggiù in fondo, ora forse un po' più vicina.
Scendo velocemente lungo tratti sempre scorrevolissimi e tecnici al punto giusto, divertendomi come un matto e senza rischiare (mancano ancora più di quaranta chilometri), facendo le traiettorie che voglio senza dover lasciare strada a nessuno o, ancora peggio, dover frenare per dei "tappi" davanti a me. Ogni tanto il percorso si perde nei meandri del bosco e dei prati, qualche bivio non è ben segnalato e sbaglio un paio di volte strada: pazienza, sono cento chilometri e i bivi tantissimi; mi abituo allora a cercare e seguire, nel dubbio, le tracce di chi mi ha preceduto chissà quanto tempo prima, ore o minuti, aumentando così il senso di "avventura". La discesa continua, è una goduria interrotta solo dalla salita verso il Monte Alto, teatro di un curioso siparietto al ristoro con dei militari che ormai ne avevano le balle piene di stare in mezzo ai monti per ore a vedere passare (ogni tanto) qualche ciclista.
Arrivo, e c'è già un biker (il primo che vedo dopo mezz'ora): mi fermo giusto che sta partendo e momenti ci accartocciamo (e già qui le prime battute..."Siete solo in due e siete anche capaci di cadere", ecc...). Inizio a ingozzarmi di cose buone, ma faccio l'errore di valutare la gara quasi "finita" pur mancando quaranta chilometri e cinquecento metri di dislivello, e assimilo più zuccheri che altro: verso la fine pagherò questo errore. Mentre mi abbuffo un militare, di chiare origini napoletane, mi chiede: "Ma quanto costa 'sta bici?" E al mio "3" con la mano, in tono scherzoso ed ironico, mi dice: "Tutti quei soldi? E vai così piano? Tanto vale che te ne compri una che costa meno!". Li saluto divertito e riparto, per la seconda parte di discesa.
Al termine della picchiata ecco lo strappo di Centro, più lungo del previsto, e sotto un sole che inizia a battere piuttosto forte: la temperatura lievita oltre i trenta gradi. Poi la discesa: un po' sconnessa ma piuttosto facile ed agevole; la stanchezza e la fatica iniziano a farsi sentire sempre più, con la concentrazione che scema man mano che proseguo nella discesa.
Mi ripeto continuamente "Non è finita, i problemi sono sempre in agguato, devo restare concentrato"... non faccio tempo a ripetermelo per l'ennesima volta che vedo un ostacolo bianco di traverso, forse una canalina per lo scolo dell'acqua. d'istinto tiro su la ruota davanti, ma per quella dietro neanche l'ammortizzatore può far nulla. Foratura!
Maledetto chi mi ha consigliato i Maxxis Larsen... coi Michelin ho fatto fuoco e fiamme senza problemi per un anno, con questi foratura al primo montaggio. Riparo il tubless con la schiuma ma purtroppo si è danneggiato anche il tallone: per fortuna la pressione, seppur bassa, mi consente di continuare la corsa anche se a un ritmo più blando. Durante la riparazione, finalmente e dopo circa venti chilometri, rivedo qualche altro bikers che mi sorpassa: tutti molto cordiali e pronti ad aiutare; chi ha come scopo "arrivare" non si fa scrupoli a perdere tempo per assistere chi è in difficoltà, come quello che ha trainato negli ultimi dieci chilometri un biker con la catena rotta... queste scene si vedono molto raramente nelle granfondo "normali": le marathon sono tutt'altro.
Continuo, quindi, ma ora con il morale sotto le ruote e i primi sintomi di fame (perchè al ristoro ho preso solo zuccheri?) e del caldo (si sfiorano i trentacinque gradi): si prospettano venti chilometri difficili...
Invece pian pianino e con un passo regolare, ora in compagnia di altri concorrenti "alla frutta" come me, raggiungo la cima della penultima salitella: all'ultimo (ma ancora abbastanza ben fornito) ristoro faccio il pieno di zuccheri (questa volta correttamente) il cui effetto lo sentirò verso le ultime rampe della salita di Camuzzini, finalmente l'ultima di giornata, dove da un momento all'altro cambio ritmo ritrovando una pedalata potente ed efficace, aiutato dall'effetto psicologico di sapere che, finalmente, è "QUASI" finita.
Affronto l'ultima tecnica discesa con calma, e mi appresto a percorrere gli ultimi cinque chilometri in compagnia di qualche compagno d'avventura. Annebbiato dalla fatica sbaglio nuovamente strada ma chi mi segue prontamente se ne accorge e mi riconduce sulla retta via, tra argini e campi, campi e ancora campi.
Poi, in lontananza, del filo spinato: la caserma! Sono arrivato! Sull'onda dell'entusiasmo sbuco sull'asfalto a tutta, ma incredibilmente nessuno controlla il bivio; fortuna vuole che con la coda dell'occhio mi accorga dell'arrivo di una macchina... è questione di un attimo, ma tra clacson e imprecazioni la schivo: ho rischiato l'investimento per pochi centimetri.... a pochi metri dall'arrivo! Una situazione scandalosa e pericolosissima, come anche il mancato avviso di entrare nella caserma: a decine hanno girato per le strade attorno al complesso militare in carca della strada giusta, ma solo in pochi l'hanno trovata; nessuna indicazione, nessuna persona a segnalare: quando me ne sono accorto ho dovuto fare dietrofront per trecento metri, avvisando tutti quelli che incontravo e che, inevitabilmente, sbagliavano strada.
L'arrivo nella caserma è mesto, con poca gente e smontaggio delle strutture in corso: non è accettabile, sono quasi le tre e mezza del pomeriggio, sei ore e quarantacinque massacranti di corsa, con gente ancora lungo il percorso, e chi arriva si trova... niente!
Come in molte altre corse, dovrebbero imparare anche qui dalla Dolomiti Superbike: dopo otto ore di corsa (quattro dall'arrivo dei primi) la piazza ancora stracolma di gente e lo speaker a incitare tutti quelli che arrivano.... queste sono soddisfazioni!
Chiude la giornata il pasta party, molto abbondante ma di qualità mediocre (il classico rancio da caserma) e dalla logistica imbarazzante (seduti sul prato, con distribuzione bevande e cibo lontani tra loro); tuttavia i diversi problemi che si sono presentati, soprattutto nel finale e nel dopo-gara, alla fin fine questa volta non mi interessano, sono disposto a chiudere anche tutti e due gli occhi.
Oggi ho corso per 6 ore e 45 minuti, 98 chilometri e oltre 2700 metri di dislivello: una soddisfazione immensa poter percorrere per ore sentieri tracciati e presidiati in una gara (perchè alla fin fine questo è) da solo e senza pressioni, in compagnia esclusivamente della bici e la montagna sotto le ruote. E' solo così che che la "gara" diventa avventura: quando è Marathon "vera".