Garamellini
Ieri alle cinque e mezza si è spento il mondo. Non il sole, che non guarda più nessuno, ma molto peggio:
i social.
Un guasto, un complotto, un ingorgo di fan di Enrico Letta, chi lo sa. Sta di fatto che chiunque provasse ad accedervi si imbatteva nella famosa rotellina che gira a vuoto sullo schermo: l’immagine moderna dell’infelicità.
Funzionava soltanto Twitter, che però è usato dalle élite per fare pettegolezzi su Calenda. Le persone normali non potevano più scambiarsi né foto su Instagram né chiacchiere su Facebook.
Soprattutto era diventato impossibile accedere a WhatsApp. Un mio conoscente che scrive il
Caffè sul Corriere della Sera non riusciva a capire per quale motivo tutti gli amici che avevano spuntato di blu i suoi messaggi si rifiutassero all’improvviso di rispondergli. Travolto da un’ondata di auto-disistima, ha provato a mandare un vocale di dieci minuti allo psicanalista, ma c’era sempre la maledetta rotellina e le sue parole sono rimaste a galleggiare nel vuoto.
Fuori intanto succedeva di tutto, nel senso che non succedeva più niente. Le chat di chi lavora in smart-working venivano sospese per mancanza di smart, mentre centinaia di orfani si aggiravano per strada senza una meta, perché l’impossibilità di comunicarlo agli altri con un selfie aveva tolto sapore a qualsiasi gesto. In preda al panico, qualcuno ha addirittura pensato di usare il telefono per telefonare, ma ha scoperto di non ricordarsi più come si fa.